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Il Karma di Giovanni Cannas è nel destino, quello imprevedibile che anima lo spirito guida del vulcanico patron di Fattoria Lischeto a Volterra, azienda biologica agropastorale che nel rigoroso percorso legato alla propria tradizione ha costruito il suo percorso vincente. Il destino alza il sipario a Bitti dove ha origine la famiglia, un borgo arroccato tra le aspre alture della Barbagia in Sardegna raccontato dal Nobel Grazia Deledda nei romanzi “Canne al Vento” e “Colombi e sparvieri”.

Paese antico: vicoli e pertugi sulle fondamenta della Mansio Romana, il complesso nuragico di Su Romanzesu, la cultura della Civiltà contadina, il museo multimediale del Canto a Tenores, Patrimonio Unesco dell’Umanità. In questo humus che nutre una Bitti al cospetto della biancheggiante dorsale carsica del Sopramonte si genera il karma la causa effetto del destino di Giovanni. La causa fu la decisione del padre di lasciare l’isola amata in cerca di pascoli più felici in “continente”.

Erano anni nei quali l’economia cercava di riprendersi faticosamente dai disastri della guerra. Salvatore imbarcò il suo gregge, sbarcò a Civitavecchia e si mise in cammino alla volta della Toscana. L’effetto fu l’acquisto nelle vicinanze di Volterra, dell’attuale podere di Lischeto. Volterra è il luogo di nascita di Giovanni il punto zero di una vita che come la sceneggiatura di un film imporrà una trama dove suggestioni, casualità e destino icalzeranno ineluttabili.


“Iniziai ad aiutare papà a otto anni ma solo dopo le scuole medie, dai quindici ai diciotto anni presi a lavorare la terra di proprietà e a pascolare le pecore.” Ricorda Giovanni. “Il babbo era stanco di quella vita; gli proposi di gestire il bestiame, accettò! Quell’anno, il 1981, mi trasferii nel podere; non c’era luce, scaldavo l’acqua sul gas della bombola e mi lavavo nella tinozza, dormivo sul materasso senza rete ma ero felice e la mattina all’alba portavo le mie pecore al pascolo tra le meravigliose colline di questa terra.”

Mese dopo mese, calatosi nelle vesti tuttofare di geometra, muratore, imbianchino, idraulico, elettricista, Giovanni iniziò la ristrutturazione del vetusto edificio creando un ampio e luminoso open space con attiguo un’agognato confortevole e spazioso bagno e tutti i comfort che rendono una casa un rifugio caldo pulito e accogliente. Nel piccolo edificio attiguo, dopo la mungitura, preparava il formaggio, forme di pecorino e cestelli di ricotta come aveva imparato dalla nonna Giuliana, radici della propria vita imprenditoriale che di lì a breve avrebbe preso il via.

“A ventidue anni frequentavo il Ciucheba a Castiglioncello, una discoteca storica oggi purtroppo in abbandono” ricorda,”anni meravigliosi, adoravo ballare e ascoltare buona musica. C’erano personaggi come Carlo Conti, la Parietti, Jerry Calà, Abatantuono, Benigni, Lucio Dalla e la Nannini, la Bertè e Teocoli per citare solo alcune delle star che si esibivano al Ciucheba. Ero là ogni sera, possedevo un lasciapassare speciale: due caciotte; una per il buttafuori che mi garantiva l’ingresso, l’altra per il barman che mi assicurava shakerati a go go! Per tutti ero “Il Pastorello”.

Una sera Mario Donati il mitico patron del locale mi mandò a chiamare: Giovanni, mi disse, domani sarà mio ospite un personaggio particolare che ama il pesce e adora la ricotta. Se mi prepari un buon prodotto te lo farò conoscere. La mattina dopo preparai la ricotta che mi riuscì come non mai, morbida, delicata, vellutata, leggera. La sera la consegnai a Donati prima di lanciarmi in pista.

Sul tardi mi mandò a cercare: la mia ricotta era stata molto apprezzata! Vieni che ti presento il mio ospite, disse cingendomni le spalle con il braccio mentre mi guidava verso il salottino. L’ospite era in piedi di spalle: capelli lunghi di un nero corvino a cascata fin sulle spalle; si girò e rimasi stupito, era Renato Zero, il mio idolo! Mi sorrise felice, si complimentò e mi strinse la mano con la forza e la sincerità del suo essere personaggio.”

Quell’episodio inatteso, adrenalinico accese la scintilla dell’entusiasmo nelle scelte di Giovanni che nel ’90 inaugurò il primo caseificio che l’anno successivo trasformò in prima azienda bio certificata italiana che oggi, cresciuta sui solidi valori della tradizione familiare, si colloca tra le élite dell’eccellenza qualitativa riconosciuta oltre confine a livello internazionale.

Al “Pastorello” è riconosciuto anche il merito di essere l’innovativo sostenitore dell’agricoltura sociale che nei canoni dettati dalla responsabilità etica e dalla sostenibilità ambientale inserisce nelle attività manuali dell’azienda persone che vivono situazioni di svantaggio e difficoltà sociali promuovendone l’integrazione attraverso il lavoro che produce reddito, restituisce felicità e da un senso proprio all’esistenza.

16 novembre 2020
Nevio Doz